La Discesa della Dea – evocazione e invocazione influssi della Dea
La Discesa della Dea
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Di fondamentale importanza all’interno della ritualistica Wicca, di pressoché qualunque tradizione, è la discesa della “Dea” vale a dire “tirare giù la luna” come viene conosciuta. Nei lavori solitari è la Sacerdotessa stessa oppure il singolo praticante a evocare su di sé la Dea o a chiamarla nel cerchio, per i praticanti di sesso maschile.
Questa operazione può portare alla “canalizzazione” della Divinità nella Strega, che a seconda delle capacità della medesima o del tipo di rituale rappresenta la Dea o ne diviene l’espressione reale all’interno del cerchio.
La Strega, sta in piedi dando le spalle all’altare, con la banchetta nella mano destra e lo scettro nella mano sinistra, mettendosi nella “posizione di Osiride”, cioè con due strumenti stretti nei pugni e con le braccia incrociate sul petto.
Si va a recitare la seguente formula:
“Benedetti siano i tuoi piedi, che ti hanno portato su questi sentieri.
Benedetti siano le tue ginocchia, che si inginocchieranno di fronte al sacro altare.
Benedetto sia il tuo utero, senza il quale noi non esisteremmo.
Benedetto siano i tuoi seni, formati nella bellezza.
Benedette siano le tue labbra, che pronunzieranno i sacri nomi.”
Andare a inginocchiarvi e siate umili nel passo seguente:
“Io ti invoco e ti chiamo Potente Madre di tutti noi,
portatrice di ogni fecondità.
Per il seme e la radice,
il fusto e la gemma,
la foglia, il fiore e il frutto,
per la vita e per l’amore
io ti invoco per l’amore
io ti invoco affinché tu discenda sul corpo
di questa tua servitrice e Strega.”
Toccate il vostro viso, seno, fianchi fino ai piedi e poi alzate le mani al cielo.
“Ave Aradia!
Dal corpo della capra Amaltea
Riversa il tuo immenso amore su di noi.
Volgo il mio sguardo umilmente davanti a te,
adorandoti fino alla fine
con amorevole sacrificio
adorno il tuo altare.
Il tuo piede è alle mie labbra.”
Sempre restando in ginocchio e restando con le mani al cielo, continuate:
“La mia preghiera nasce
Sopra il fumo dell’incenso si leva.
Spenti il tuo antico amore, oh Potente,
qui discendi per aiutarmi
che senza te sono smarrita.
Della madre oscura e divina
della stella a cinque punte dell’amore è beatitudine.
Io t’invoco affinché tu discende sul corpo
di questa tua servitrice e Strega!”
Il significato
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La discesa nell’Ade della Dea, rappresenta la concezione della morte, la più grande di tutte le iniziazioni.
Nel mito del Dio, esso è il Signore degli Inferi, l’Ade dei greci, la Dea è la sua sposa umana che attraverso la sua discesa apprende il mistero, assumendo cosi il suo aspetto luminoso di Dea della Rinascita e della fertilità.
Il motivo che la spinge ad inoltrarsi nel Regno dell’Ombra è la sua volontà di svelare il mistero. Quante volte ci siamo chiesti il perché della morte? In questo caso, l’estetica precede l’etica e non il contrario. Noi siamo spinti a ragionare sulla morte perché l’abbiamo vista e la visione ci illumina.
L’esperienza della morte che ci colpisce e ci fa riflettere:
“Se in vita non siamo almeno morti una volta,
anche in senso psicologico ed emozionale,
come possiamo comprendere la fine della vita?”
Per questo si dice che non esiste uno senza l’altro. Non esiste il dolore senza la gioia. Non esiste l’amore senza l’odio. Non esiste la morte senza la vita.
La Dea quindi incarna, nel mito, la reazione della vita e dell’uomo di fronte al mistero della Morte. Decide così di partire per cercare delle risposte, ma alla porta degli Inferi ecco che impara la prima lezione:
“La Morte è di tutti!”
La ricchezza, gli abiti e gli ornamenti non contano per la morte perché essa sopraggiunge per tutti. Il Guardiano, ipostasi del Dio, le intima di spogliarsi di tutti i simboli della sua nobiltà e del suo potere di regina, perché la morte spoglia di tutto e nel suo regno siamo tutti uguali.
Non basta, nella sua discesa la Dea viene legata e giunge la seconda lezione.
“La Morte paralizza!”
Inteso anche come il rigor mortis che lesa per sempre, in quanto processo irreversibile, alla fine stessa della vita. Da qui non si può tornare indietro. Questo è quanto si vede della Morte e saranno davvero cosi inestricabili i suoni nodi? La Dea si presenza al cospetto della Morte.
La sua bellezza è tale, la bellezza dell’amore, che anche il Re di quel regno gelido si inginocchia a Lei, deponendo i simboli del suo potere. In questo modo si presenta disarmato, umile e desideroso. Le chiede di porre le sue “gelide mani” sul suo cuore e implora di essere amato.
Le risponde:
“ Io Odio la morte perché essa fa scomparire tutto ciò che amo!”
La Morte allora risponde:
“È a causa del tempo,
tutto si trasforma ed è necessario
che tutto passi.
Il tempo fa appassire ogni cosa…”
Non è il Dio che ci fa morire, ma anzi egli ci accoglie donandoci pace e forza, preparandoci al ritorno, ma qual è il ritorno? Esso è la rivelazione.
Difficile da accettare, la morte è brutta.
Il vivente, in quanto vive, vuole allontanare la morte da sé
La dea risponde:
“Io non ti amo!”
Il rifiuto della morte ci porta alla sofferenza perché essa viene a causa del tempo. Allora, concependola come il male, come antitesi della vita, quindi del bene, alla sua vista noi soffriamo in modo atroce. Seppure amata infatti, la morte porta sempre una certa sofferenza, ma rifiutata porta ad una sofferenza molto peggiore perché non cosciente.
Vissuta come male che si può evitare, ma essa arriva sempre e in qualsiasi momento esattamente come l’amore o come il perdere l’amore.
Ciò nonostante la Dea non accetta l’idea della Morte e lo sfida per un destino migliore. A questo punto lei subisce la frusta della morte, il dolore cioè che ognuno di noi subisce quando “vede” la morte.
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In questi momenti ci si interroga, attraverso la sofferenza che è Maestra di conoscenza, la Dea comprende il mistero che unisce amore e morte, in una triplicità che lo caratterizza.
“Ora conosco gli spasimi dell’Amore.
Per realizzare l’Amore è necessario ritornare nuovamente
nello stesso tempo e nello stesso luogo dei nostri cari e incontrarli,
riconoscerli, ricordarli ed amarli nuovamente.
Per rinascere bisogna morire
ed essere resi pronti per un nuovo vivere.
Per morire è necessario nascere e senza l’Amore
nascere non si può!”
Tutto nasce dall’amore come la vita e senza amore non si può creare nulla, non si nasce, non si vive, a livello cosmico non c’è vita senza amore.
Naturalmente tutto passa e tutto si trasforma e per passare da uno stato all’altro è necessario che quello stato non duri in eterno, ma finisca, muoia affinché lo stato successivo sopraggiunga. Ecco svelato il mistero che si connette al mistero esoterico del Cerchio.
“Come la vita è solo un viaggio verso la morte!”
Cosi la morte è solo un passaggio per tornare alla vita.
Il cerchio ruota in eterno!
Ha un inizio e si ricongiunge nella fine.
Ecco raggiunta la conoscenza, seppur esistano delle sofferenze inutili, solo attraverso di essa si raggiunge la gnosi, attraverso l’esperienza, attraverso il “panta rei” noi conosciamo la morte.
Anche se non andiamo ad avere una certa esperienza della morte reale e cosciente, abbiamo altre esperienze di morte e poi il ritorno alla vita, come un inverno che poi lascia posto alla primavera.
La Morte
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La morte, la più grande di tutte le iniziazioni. L’iniziato vuole, si ricordi l’importanza della volontà nel Rede, scoprire il mistero, proprio come la Dea, proprio come lei viene spogliata sei suoi ornamenti e reso umile nel cerchio affinché affronti la morte rituale.
La morte rituale è un cambiamento di coscienza, un cambiamento di vita. La corda rituale con cui viene legato e la frusta con la quale viene simbolicamente frustata rappresenta proprio la morte rituale nella sofferenza.
Allo stesso modo il bacio quintuplice rappresenta la rinascita dell’iniziato con la benedizione degli Dei attraverso le streghe, che rappresentano rispettivamente il Dio e la Dea.